Il risultato del referendum sulla scuola dell’infanzia.

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 27 maggio, 2013

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Il voto del sindaco Merola

Un commento ai risultati del referendum consultivo sul finanziamento della scuola dell’infanzia bolognese, svoltosi ieri, da parte di uno che ha sostenuto convintamente (argomentandone le ragioni) ed ha votato l’opzione B.

Non credo che sia il caso di minimizzare la vittoria dell’opzione A (59%) con l’ argomento della bassa percentuale dei votanti (28,71%),nettamente inferiore a qualsiasi altra consultazione referendaria bolognese (sulla chiusura del centro storico al traffico, sul progetto Bofill della stazione centrale, sulla privatizzazione delle farmacie). Non si può non tenere conto, al riguardo, del calo costante della partecipazione a qualsiasi tipo di votazione, anno dopo anno, del voto limitato alla sola domenica e del quesito che non toccava interessi generali della popolazione.

Così come non si può non prendere atto della sconfitta dei partiti (PD in primis) e delle espressioni organizzate della società civile (tra cui le parrocchie e la Chiesa gerarchica) che hanno fatto campagna elettorale per l’opzione B.

Sono convinto che A abbia prevalso grazie al quesito complesso ed un po’ equivoco proposto dai promotori del referendum, che lo hanno capziosamente semplificato in una scelta tra scuola pubblica (A) e scuola privata (B) accompagnata da un‘interpretazione faziosa dell’art.33 della Costituzione ignorando l’art. 118 sulla sussidiarietà. Più articolate e difficili da far passare le argomentazioni dei sostenitori dell’opzione B, fondate soprattutto sulla ragionevolezza delle cifre e sulla difesa dell’esistente che ha dato buona prova di sé.

Dopo di che penso che l‘amministrazione non sarà indotta dal risultato del referendum a modificare il sistema convenzionale attuale (Merola peraltro lo aveva ripetutamente e poco opportunamente anticipato), non solo perchè la stragrande maggioranza degli elettori bolognesi, con il loro voto e, soprattutto, con la loro astensione, hanno dimostrato di non essere favorevoli ad un mutamento, ma perchè il sistema ha dimostrato di funzionare assicurando alla quasi totalità dei bambini una scuola dell’infanzia di qualità, indipendentemente dal soggetto gestore.

Né credo che il sistema convenzionale potrà conoscere significativi cambiamenti, se non i periodici aggiustamenti al sistema dei parametri in base ai quali si determina l’entità del contributo concesso alle paritarie private. Va inoltre respinta la proposta, avanzata da qualcuno, di tornare al buono scuola attribuito alle famiglie dei bambini che frequentano le scuole paritarie private, perchè questo, oltre a generare comunque un aumento delle rette, privilegerebbe un approccio individuale e privatistico al problema, mettendo in secondo piano il rapporto diretto tra Comune e soggetto gestore.

E’ certamente possibile (ed unificante) statchiedere allo Stato un maggiore impegno per la scuola dell’infanzia statale a Bologna (che copre appena il 17% della domanda), ma, diciamocelo francamente, siamo convinti che, con i chiari di luna attuali, questo rappresenti una priorità per la spesa pubblica nazionale? E perchè a Bologna e non in altre città dove non si riesce a soddisfare gran parte della domanda?

A me pare che questo referendum confermi l’esistenza, all’interno del centrosinistra di due visioni radicalmente diverse e non componibili del rapporto pubblico-privato e del significato stesso di “pubblico”, con tutto ciò che ne consegue riguardo ai servizi pubblici, alla loro gestione/controllo ed alla provenienza( da fiscalità generale e/o da tariffe) dei finanziamenti necessari al loro funzionamento.

Il discorso riguarda la scuola dell’infanzia ed il sistema d’istruzione nazionale (ex l. 62/2000) ma anche il sistema sanitario nazionale e, più in generale, il sistema di welfare. Ma tocca anche altri settori, non diretti alla persona, ma non per questo meno importanti, come i trasporti ed i servizi ambientali (ricordo a questo proposito il grande equivoco nascosto dietro al referendum sull’”acqua pubblica”).

Rinuncio per ora a sviluppare questi temi per motivi di spazio ma credo che la questione sia ormai ineludibile.

Commenti dei lettori

Paolo, mi ritrovo nei tuoi commenti. Su un punto sono incerto: 50.000 persone che scelgono l’opzione A sono molte o sono poche? Se non sbaglio sono circa il 16 - 17 % degli aventi diritto al voto (300.000?). Essendo il referendum “consultivo” si tratta a questo punto di giudicare l’opportunità politica di tenerne conto, e come farlo. Non c’è una cogenza di legge. Leggendo alcuni commenti dei referendari duri e puri non saprei dire se c’è spazio per ragionare assieme. Poi: si può dire che quei 50.000 sono lo zoccolo duro della sinistra senza se e senza ma a BO?

#1 
Scritto da Ferdinando Conti il 27 maggio, 2013 @ 17:51

Grazie caro Nando. Secondo me i 50.000 non sono affatto pochi e credo, come suggerisci tu, che rappresentino proprio “lo zoccolo duro della sinistra senza se e senza ma a BO”, quelli cioè per i quali tutti i servizi divrebbero essere pubblici nel senso di “gestiti direttamente da soggetti pubblici e finanziati dalle tasse (che peraltro non devono aumentare)”. Francamente ti confesso che non so in che modo si possa tenere conto della vittoria dell’A. Lo si dice per essere politicamente corretti ma mi pare che sia difficile assecondare gli obiettivi dei referendari senza stravolgere l’attuale sistema convenzionale. Un maggiore impegno diretto del Comune è impossibile in quanto insostenibile. L’apertura di nuove sezioni comunali passa attraverso il loro affidamento in gestione alle coop. Chiedere allo Stato di impegnarsi di più a BO mi sembra difficile possa ottenere risultati e significa soltanto mettersi la coscienza a posto.

#2 
Scritto da Paolo Natali il 28 maggio, 2013 @ 12:40

caro Paolo, ancora una volta l tuo commento è puntuale e condivisibile. La vittoria di A non è trascurabile, nel senso che in qualche modo se ne dovrà tener conto. I duri e puri dello zoccolo duro sono incomprimibili, però ci si dovrà barcamenare fra le esigenze costituzionali (oltre ad articolo 33 c’è anche il 118)e le strettezze del bilancio. Tu giustamente hai evidenziato due “errori”
1- l’aver Merola anticipato l’inutilità del referendum
2- L’essere la gerarchia cattolica, non solo locale, intervenuta a gamba tesa.
Continuerò a seguire i tuoi acuti interventi, ti ringrazio

#3 
Scritto da Umberto Tadolini il 28 maggio, 2013 @ 13:32

Grazie a te, caro Umberto.

#4 
Scritto da Paolo Natali il 28 maggio, 2013 @ 15:18

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