Verso un esercito di difesa europeo

«L’esperienza della storia mostra che una comunità politica che non sia in grado di assicurare la propria difesa e la propria sicurezza sul territorio è a rischio, prima o poi, di perdere anche la propria libertà»

Esercito europeo

Esercito europeo

…….Alla prova, è apparso evidente che nessun paese in Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a niente valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. È ormai dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei……

…….E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo…….

……….Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli…….

Sono brani tratti dal Manifesto di Ventotene scritto nel 1941 da Spinelli, Rossi e Colorni mentre erano confinati in quell’isola. Già allora, più di ottant’anni fa, si parlava di un esercito europeo collegato ad una Costituzione europea, al posto degli eserciti nazionali. In effetti l’idea di una CED (Comunità europea di difesa) fu tra i primi progetti che gli stati fondatori della comunità europea (Italia, Francia, Germania Ovest, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi) ipotizzarono. Purtroppo esso non fu approvato nel 1954 per opposizione della Francia. Nel 1952 era entrata in vigore la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e nel 1957 decollò la CEE (Comunità economica europea).

Le recenti polemiche al parlamento europeo si sono manifestate attorno al piano di difesa europea presentato da Ursula von der Leyen, infelicemente denominato Re Arm Europe, che ha prodotto una divisione tra chi ha visto in questo piano la volontà di finanziare il potenziamento dei diversi eserciti dei 27 paesi della UE aggravando la frammentazione attuale del sistema di difesa europeo, anche a scapito delle necessità di finanziamento del welfare e della spesa sociale, e chi considera questo finanziamento un primo passo in direzione di un esercito europeo di difesa a servizio di una politica estera comune. Personalmente condivido quest’ultima opinione e penso che da parte di chi ha approvato il piano ci si dovrà impegnare con forte volontà politica per precisare attraverso l’atteso libro bianco in materia, l’entità e le fonti di finanziamento (privilegiando debito europeo - come accadde per Covid e NGEU), le modalità di spesa (incentivando economie di scala attraverso acquisti comuni da parte dei diversi Stati prioritariamente nel mercato europeo e sistemi d’arma omogenei e compatibili tra loro). Insomma si tratta di cogliere la crisi Ucraina ed il voltafaccia di Trump come opportunità per cominciare a mettere le basi di quella forza armata europea di cui parla il manifesto di Ventotene.

Questo potrebbe anche rappresentare un’occasione per procedere verso una maggiore integrazione politica. D’altra parte c’è chi ha detto che l’Europa vive di crisi, nel senso che è proprio per reagire a situazioni difficili (come è stato col Covid) che si sono fatti passi avanti verso politiche comuni.

C’è poi un altro aspetto, mi pare, da tenere presente. C’è chi dice: impossibile finanziare ora un esercito europeo per creare il quale ci vorranno tanti anni, visto lo stato di disgregazione attuale di 27 sistemi di difesa, costosi e poco efficaci nel loro insieme. Vorrei ricordare che esiste dal 1949 la NATO, di cui ora fanno parte 32 paesi,22 dei quali sono membri della Unione Europea che oggi conta 27 stati aderenti. Attualmente fanno parte della UE e non della NATO, Austria, Cipro, Irlanda, Malta e Repubblica Ceca.

Io non sono in alcun modo esperto di organizzazioni militari ma immagino che tra i paesi che compongono la NATO esisteranno accordi, intese e modalità di integrazione e coordinamento, basti pensare alle periodiche esercitazioni che vedono impegnate le forze armate dei diversi paesi.

Oltretutto non è ben chiaro cosa sarà la NATO dopo le scelte di disimpegno preannunciate da Trump. E allora perchè un certo numero di paesi europei “volonterosi”, membri sia della NATO che della UE non prendono l’iniziativa di associarsi per costituire il primo nucleo di un esercito europeo assumendo tutte le misure istituzionali ed organizzative conseguenti? Non è necessario attendere che tutti i 27 paesi della UE si muovano. Le principali innovazioni nella vita della UE si sono prodotte attraverso l’iniziativa di alcuni paesi promotori, ai quali via via si sono associati altri.

Anche la nascita dell’Euro avvenne in questo modo.

Ma la RAI è un servizio pubblico?

TGRegionale

TGRegionale

Ieri venerdì 14 marzo il TG3 regionale delle 19.30 è saltato, sostituito da un filmato antidiluviano su Demetrio Stratos e Rino Gaetano, senza che sia stata data alcuna informazione o giustificazione, né prima, né dopo. Da notare che la stessa cosa, con le medesime modalità e con lo stesso filmato si era già manifestata diverse volte negli ultimi tempi. Così mi era parso giusto scrivere alla redazione del TG regionale aggiungendo: “Francamente mi sembra una intollerabile mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini. Un disservizio è sempre possibile (magari meno frequente di quanto sta capitando) ma mi sembrerebbe doverosa una comunicazione ed una spiegazione e, perché no, la messa in onda di immagini diverse, magari accompagnate da qualche brano di musica classica. La vecchia, cara RAI metteva in onda intervalli a base di pecore o di panorami italiani in bianco e nero. Fate in modo per cortesia di non farceli rimpiangere.” Fino a questo momento non ho ricevuto alcuna risposta.

Lepore e l’inquinamento dell’aria a Bologna

Sul Corriere della Sera di ieri Matteo Lepore viene intervistato come sindaco dell’unico capoluogo della valle Padana nel quale nel 2024 si è rispettato il limite annuo dei

Matteo Lepore

Matteo Lepore

giorni (35) nei quali si è rispettato il limite di 50 mcgr/mc di poveri sottili (PM10). Lepore illustra con giustificato orgoglio tutte le misure in tema di mobilità sostenibile, riduzione delle emissioni negli edifici e riqualificazione urbana, i progetti (miglioramento dei mezzi di trasporto pubblico, tram, People mover ecc) e le azioni previste dalla Missione Clima che ha l’obiettivo di rendere Bologna nel 2030 ad emissioni di CO2 nulle o compensate. Tutto vero e condivisibile. La qualità dell’aria a Bologna è in via di progressivo miglioramento, anche rispetto agli altri capoluoghi della regione. Tuttavia nell’intervista ci sono due affermazioni che richiedono una correzione. Non è vero che nel 2024 la media degli sforamenti di PM10 è stata la più bassa negli ultimi 10 anni: se nel 2024 gli sforamenti sono stati 26, sono stati 23 nel 2014, 18 nel 2018 e soltanto 4 nel 2023. Quest’ultimo dato smentisce anche il titolo dell’intervista (“Anche i dati sull’aria premiano la zona 30”) perchè zona 30 è entrata in vigore il 16 gennaio 2024 e, come visto, il dato del 2023 è stato migliore di quello del 2024.

In realtà i fattori che condizionano l’inquinamento dell’aria da polveri sottili sono molteplici, talvolta di contributo incerto e non è scontato, come visto, attribuire ad uno solo tra questi un ruolo determinante.

Che aria tira a Bologna

Qualità dell'aria 2024

Nel corso del 2024 il numero di giorni nei quali la centralina di Porta S.Felice ha registrato il superamento del valor limite di concentrazione giornaliera di particolato PM10 (50 mcrg/mc) è di 26, nettamente inferiore al valor limite che è di 35 giorni. Nelle altre centraline dell’agglomerato di Bologna (via Chiarini, Giardini Margherita e S.Lazzaro di Savena) il numero di giorni di superamento è ancora inferiore. Naturalmente per una valutazione completa della qualità dell’aria nella nostra città bisognerà attendere la pubblicazione del consueto esauriente report di ARPAE, che conterrà i dati relativi anche agli altri parametri di misura e che terrà conto, tra l’altro, delle condizioni meteo. Tuttavia questa prima notizia va accolta con soddisfazione.

Il Giubileo per i fratelli in carcere

Il Papa a Rebibbia

L’apertura della seconda Porta Santa nel carcere di Rebibbia da parte di papa Francesco è un segno potentissimo di prossimità e di misericordia nei confronti dei detenuti. Ma è anche uno stimolo alla politica affinchè raccolga la proposta di Luigi Manconi e di altri intellettuali per un atto di clemenza generale che si traduca in un provvedimento di amnistia e indulto per reati e residui di pena fino a due anni, che contribuisca a ridurre il sovraffollamento nelle carceri. Dopo l’ultimo indulto del 2006 che interessò 27000 detenuti, la recidiva dopo 5 anni fu del 35% a fronte del dato di recidiva del 67% per quanti scontano per intero la pena in carcere. Ma quali partiti politici avranno il coraggio di sfidare l’opinione pubblica?

L’alluvione del 20-21 ottobre a Bologna

Alluvione a Bologna

Alluvione a Bologna

Ho scritto alcune note in merito all’evento alluvionale che ha colpito Bologna tra il 20 ed il 21 ottobre scorsi. Ne riporto nel seguito le conclusioni.

“A questo punto vorrei concludere formulando una serie di considerazioni che non hanno la pretesa della infallibilità ma che derivano da un po’ di esperienza e da quanto si può desumere dai documenti di cui sopra e dalle cronache di questi giorni.

Senza dubbio l’evento del 19-20 ottobre ha avuto carattere di eccezionalità ed i suoi effetti sono stati aggravati dalla saturazione del suolo, già imbibito dalle precedenti precipitazioni. Tuttavia la consapevolezza della possibilità di eventi estremi avrebbe dovuto esserci, sia per i cambiamenti climatici in atto, sia per quanto già avvenuto nel passato fino ai fatti del maggio 2023. In particolare che la tombatura del torrente Ravone avesse una portata inadeguata era già noto ancor prima del 2023.

A tale consapevolezza si è risposto certamente, fin dal 2015, con l’implementazione di un sistema di monitoraggio e di modellistica (le cui risposte si sono purtroppo rivelate insufficienti) mentre non è dato sapere quali interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria siano stati effettuati sulla rete dei rii collinari sulla base della convenzione con la Bonifica Renana.

I documenti di pianificazione sopracitati enfatizzano la necessità di limitare il consumo di suolo a scopo edificatorio, di deimpermeabilizzare le superfici asfaltate, di applicare tecniche di drenaggio sostenibile, di rinaturalizzare i corsi d’acqua ecc. ecc., tutte strategie certamente utili ed efficaci, soprattutto per la tutela delle aree di pianura a valle della via Emilia, ma a mio giudizio poco significative per ridurre il rischio idraulico rappresentato dai rii collinari bolognesi, dal momento che la collina della nostra città non ha conosciuto, fortunatamente, processi di urbanizzazione intensa. Forse, almeno in certe zone, essa soffre piuttosto di una condizione di abbandono e di disordine della rete minuta di drenaggio delle acque superficiali.

Riassuntivamente non si sfugge alla sensazione di una risposta insufficiente, anche dopo il maggio 2023, alla situazione di rischio.

A questo punto, anche dopo le parole del Sindaco, mi auguro e voglio credere che ci sarà una svolta nelle politiche locali e regionali di difesa del suolo, abbandonando quella serie di dichiarazioni d’intenti e di buoni propositi che anche a livello nazionale fanno seguito a tutte le calamità (“ci vuole prevenzione, si spende meno a fare prevenzione che a riparare i danni ecc. ecc,”) puntualmente smentiti dall’inerzia e dai ritardi successivi: i drenaggi profondi per risanare un versante in frana, la pulizia di un rio o di un torrente, un gabbione per una difesa spondale si notano meno di una pista ciclabile o di una rotonda stradale.

Si è parlato di vasche di accumulo o di casse di espansione, ma non penso che queste siano infrastrutture utili e fattibili nella nostra collina. Certamente dovrà essere fatto uno studio complessivo di carattere idraulico ed idrogeologico, che abbracci tutti i bacini dei nostri rii, a partire dal Ravone e dall’Aposa, supportato da un adeguato sistema di monitoraggio e di previsione dei regimi di piena. In questo studio andrà considerato attentamente anche il ruolo del canale di Savena e del canale di Reno, verificando se essi possano essere, in occasione di eventi critici, il recapito di una parte dei rii che oggi attraversano, tombati o meno, la nostra città. Come ha detto il Sindaco, si tratta di ripensare alla radice l’organizzazione del sistema idraulico complessivo che interessa Bologna, realizzando le opere necessarie.

Per contrastare il dissesto idraulico ed idrogeologico del territorio, è necessario anche rimediare al “dissesto istituzionale”: in materia di difesa del suolo esiste una molteplicità di enti ed istituzioni competenti che ostacola una visione coerente del sistema fisico e rallenta l’adozione di provvedimenti efficaci. Qui occorrerebbe un intervento legislativo a livello nazionale ma molto si può fare anche a livello regionale e subregionale. Così come occorre rafforzare l’apparato tecnico in questo settore che oggi appare alquanto indebolito. Il candidato alla presidenza regionale De Pascale ha fatto qualche proposta utile in tal senso.

Bologna in altre occasioni drammatiche e dolorose ha saputo essere di esempio per il paese: questo è il momento di dimostrare che siamo davvero capaci di trasformare le sciagure in opportunità.”


Il masochismo dell’autonomia differenziata

Referendum abrogativo

Per dimostrare quanto la legge sull’autonomia differenziata sia demenziale e destinata, se applicata, a dissestare definitivamente il nostro paese, dovrebbe bastare considerare che tra le 23 materie che possono, a richiesta di una Regione, essere delegate completamente alla competenza regionale escludendo la competenza dello Stato, c’è la protezione civile. Quattro Regioni amministrate dal centrodestra hanno già avanzato richiesta in tal senso. Mi chiedo come sarà possibile a quelle Regioni, se malauguratamente colpite da un evento calamitoso particolarmente distruttivo, farvi fronte con le sole proprie forze, rinunciando al contributo solidale delle strutture tecniche ed operative nazionali.

Entusiasmo e frustrazione

Referendum abrogativo

E’ certamente positivo il fatto di poter firmare da remoto per richiedere l’ammissibilità e lo svolgimento di un referendum abrogativo. Oggi è assai più facile raggiungere le 500.000 firme necessarie. Lo abbiamo verificato di recente con i referendum per abrogare la legge sull’autonomia differenziata ed una parte della legge sulla cittadinanza. Il problema è che finchè rimane in vigore la norma che prevede che per rendere valido il risultato di un referendum abrogativo è necessario che si rechino alle urne più del 50% degli aventi diritto, è assai difficile che un referendum abbia efficacia: basta che chi è per il NO inviti ad astenersi dal voto e il gioco è fatto.

Prima di lanciarsi nella campagna per la promozione di altri referendum abrogativi sarebbe necessaria una intesa bipartisan per modificare la soglia di validità di un referendum portandola ad esempio al 50% di quanti hanno votato alle più recenti elezioni politiche.

In caso contrario assisteremo ad un’alternanza di entusiasmo (per essere riusciti a fare svolgere un referendum) e di frustrazione (per il suo fallimento).

Balneari: la storia infinita.

Una spiaggia in concessione

Una spiaggia in concessione

Sembra che la vicenda dei balneari si stia avviando ad una conclusione. Infatti il governo Meloni avrebbe messo a punto un decreto sul quale la Commissione Europea avrebbe espresso parere favorevole, pur rinviando alla conclusione della vicenda stessa un giudizio definitivo circa la minacciata apertura di una procedura di infrazione a carico del nostro paese.

I “mi sembra”, i tanti condizionali e la prudenza della C.E. Si spiegano con il fatto che sono trascorsi ormai 18 anni da quando la direttiva europea Bolkenstein sulla concorrenza imponeva tra l’altro agli stati membri di mettere a gara le concessioni demaniali come quelle che riguardano le spiagge ed i litorali di proprietà dello Stato.

Quello che è successo (o non successo) in questi 18 anni è a mio giudizio esemplare di come i governi del nostro paese, purtroppo senza distinzione di colore politico, ed anche le regioni, ancora senza particolari differenze, si siano dimostrati incapaci di dare soluzione ad un problema che non è nemmeno tra i più gravi tra quelli che travagliano l’Italia (questa è un’aggravante), strizzando l’occhio ad una categoria di imprenditori (i “balneari” cioè i titolari delle concessioni, esercenti dei bagni e degli stabilimenti rivieraschi) che di fatto sono da sempre utilizzatori di uno spazio pubblico dal quale ricavano redditi assai significativi pagando allo Stato canoni di concessione esigui.

L’idea che, in ottemperanza alla Bolkenstein, si dovessero fare delle gare ad evidenza pubblica attraverso le quali, sulla base di criteri oggettivi, riassegnare la titolarità delle concessioni (confermandone o cambiandone il titolare) non è mai stata accettata e si è sempre cercato di evitarne l’attuazione, attraverso proroghe, rinvii, strani escamotages (come quello di cercare di dimostrare che le spiagge date in concessione sono una percentuale minima dello sviluppo totale delle spiagge italiane fruibili dai cittadini).

Quello che si sa del decreto governativo è che esso contiene un’ ulteriore “ultima” (?) proroga al settembre 2027 delle concessioni attuali, con l’obbligo per i comuni di effettuare le gare entro il giugno 2027 e loro conclusione entro marzo 2028 (guarda caso siamo alla fine dell’attuale mandato amministrativo nazionale). La durata delle nuove concessioni varierebbe da 5 a 20 anni. Inoltre è previsto che l’eventuale nuovo titolare della concessione dovrebbe pagare al vecchio concessionario gl’investimenti da lui effettuati e non ancora ammortizzati negli ultimi 5 anni. Nei criteri di aggiudicazione della gara sarebbe anche previsto un riconoscimento al gestore attuale se il reddito derivante dalla attività fosse quello necessario al mantenimento della famiglia del titolare stesso.

E’ bastato questo timido atto di ottemperanza della Bolkenstein per scatenare le critiche dei diversi sindacati dei “balneari” ed anche (duole dirlo) delle opposizioni, compresa la nostra Regione.

L’insoddisfazione dei sindacati nei confronti del governo aveva come prima motivazione il fatto che fosse stato disatteso l’impegno a non fare le gare (sic!). Duole dirlo ma questa “incoerenza” governativa è stata criticata anche dall’assessore Corsini della Regione ER.

Le altre lamentele della categoria riguardavano il fatto che venisse riconosciuto l’indennizzo non di tutti gl’investimenti effettuati in passato ma solo negli ultimi 5 anni ed anche che non venisse riconosciuto un diritto di prelazione a favore dei gestori attuali (il che avrebbe voluto dire, di fatto, non fare nemmeno le gare) ma soltanto un elemento di vantaggio nella gara. Anche il fatto che pare non si tenga conto di spese come quelle relative al servizio di salvataggio o alle dune sabbiose di protezione invernale era un elemento di critica, così come non è chiaro se un soggetto possa partecipare ed aggiudicarsi più di una concessione.

Quando sarà noto il testo ufficiale del decreto sarà possibile e doveroso sottoporlo ad un esame critico rigoroso. E’ possibile, come lamentano i sindacati e la nostra Regione che sia un testo confuso e che non risolve in modo equo il problema dando indicazioni chiare ai Comuni per l’effettuazione delle gare. La nostra Regione pare abbia varato linee guida di cui non conosco il testo. Resta il fatto che è inaccettabile che dopo 18 anni il sistema politico non sia stato in grado di mettere a punto norme procedurali utili a procedere alle gare per l’assegnazione delle concessioni.

Non mi pare fosse difficile definire una serie di criteri e punteggi per valutare le modalità di gestione degli stabilimenti balneari, clausole sociali di favore e di garanzia per i gestori attuali, indennizzi equi a carico dell’eventuale nuovo gestore ecc. ecc. Contestualmente è indispensabile che vengano adeguati i canoni di concessione rendendoli coerenti con il valore economico che il terreno demaniale utilizzato come spiaggia privata rappresenta.

La realtà è (torno all’inizio) che la politica è incapace di resistere alle pressioni ed ai ricatti di categorie (balneari, taxisti ecc.) che, oltretutto, stando anche alle rilevazioni della Agenzia delle Entrate, dichiarano redditi inconciliabili col giro di affari effettivo.

La cultura goccia a goccia.

Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia

Sangiuliano fa bisboccia

con Maria Rosaria Boccia.

Non c’è dubbio che le piaccia,

nel suo cuore ha fatto breccia,

forse han fatto anche la doccia……

Poi Rosaria lo minaccia,

non c’è giorno che lei taccia

e non scocchi la sua freccia.

Gli fa perdere la faccia.

Lui non è certo una roccia.

Dopo questa figuraccia

la Meloni alfin lo caccia.