Italia, “qui si parrà la tua nobilitate”

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 4 agosto, 2020

Dante e Virgilio

Prendendo a prestito le parole che Virgilio rivolge a Dante nel secondo canto dell’Inferno nella Divina Commedia potremmo dire che dal modo in cui l’Italia riuscirà ad utilizzare i finanziamenti messi a disposizione dall’Europa si potrà vedere quanto vale il nostro paese e saranno messi alla prova il suo valore e la sua credibilità.

Di ritorno dalle vacanze riprendo, sviluppo ed aggiorno quanto avevo scritto nel post del 12 giugno, dopo gli Stati Generali, anche alla luce di due articoli che ho letto nel frattempo e di cui condivido integralmente il contenuto (“All’Italia serve concretezza” di Boeri e Perotti su Repubblica del 24 luglio e “Le riforme senza costi (che ancora non si fanno)” di Sabino Cassese sul Corriere della Sera del 3 agosto).

L’Italia, come gli altri paesi europei che intendono accedere ai finanziamenti messi a disposizione per il rilancio economico e sociale dopo la crisi causata dalla pandemia, dovrà presentare entro settembre/ottobre un Piano/programma di riforme e progetti d’intervento.

Fino ad ora non si è andati oltre l’enunciazione di titoli e di obiettivi general-generici, accompagnati da un acceso scontro di carattere ideologico, che vede come protagonisti principali da un lato il PD, dall’altro il movimento 5Stelle, circa l’opportunità o meno di utilizzare una delle linee di finanziamento prevista, vale a dire quella del MES, che per l’Italia potrebbe portare ad un prestito fino a 36 miliardi di euro, ad interesse praticamente nullo, con cui finanziare interventi diretti o indiretti in campo sanitario. Personalmente credo che sarebbe assurdo rinunciare a questo prestito, assai più vantaggioso di quello che l’Italia può attivare sul mercato dei titoli di stato, ma è comunque paradossale che questa accesa discussione avvenga prima ancora che, attraverso il piano/programma di cui sopra, si sia deciso quali interventi realizzare ed il loro costo: solo allora capiremo davvero di quali finanziamenti abbiamo bisogno, scegliendo tra i 36 miliardi del MES per la sanità, i 127 miliardi di prestiti e gli 82 miliardi (solo 25 netti) a fondo perduto del Recovery Fund.

I sovranisti di casa nostra (Salvini e Meloni) ma anche una buona parte dei 5Stelle, pur non potendo attaccare direttamente le istituzioni europee (vista l’ingente quantità di risorse rese disponibili per il nostro paese) fanno comunque sfoggio di diffidenza e di sospetto nei confronti della Commissione Europea e dei controlli che potranno essere fatti sull’impiego dei fondi, sulla coerenza del loro utilizzo rispetto alle indicazioni già fornite dalla stessa C.E., sul rispetto dei tempi di spesa delle risorse attribuite. Feroci sono state anche le polemiche nei confronti dei paesi cosiddetti “frugali” (Belgio, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia), colpevoli di pregiudiziale diffidenza nei confronti dell’Italia, accusata, tra l’altro, di eccessivo debito pubblico e di inefficienza amministrativa.

Rischio l’impopolarità e l’accusa di scarso patriottismo, ma io penso che:

1) Dovremmo prendere molto sul serio le raccomandazioni e le indicazioni programmatiche fatte all’Italia dalla C.E. E’ nostro interesse approfittare di questa occasione per un rilancio decisivo del nostro paese, purtroppo nelle ultime posizioni in tutte le classifiche del continente.

2) Dovremmo abbandonare atteggiamenti di diffidenza e di vittimismo, senza avere paura dei controlli ai quali il nostro come gli altri paesi saranno sottoposti. E’ un’occasione ed uno stimolo per migliorare le nostre scadenti performances del passato nell’utilizzo dei finanziamenti europei.

3) Dovremmo approfittare di questa irripetibile occasione per riconquistare credibilità e fiducia sui mercati, contribuendo ad un abbassamento dello spread.

Un altro aspetto che va tenuto presente e che mi pare utile ricordare è che con i finanziamenti europei (MES o RF) non si possono finanziare spese correnti ma soltanto spese in conto capitale e investimenti. Non sarà possibile insomma provvedere ad un abbassamento delle tasse o all’assunzione di personale: la relativa spesa negli anni successivi andrebbe infatti a gravare sul deficit pubblico.

A questo punto diventa assolutamente urgente e necessario passare da semplici titoli e generici obiettivi a progetti articolati, coerenti con le priorità decise dalla politica tenendo conto delle indicazioni europee, comprensivi di azioni, responsabilità attuative, tempi e costi.

Il Recovery Plan da inviare alla C.E. dovrebbe comprendere anche alcune riforme attese da lungo tempo nel nostro paese. Tra queste va segnalata in primo luogo la riforma della pubblica amministrazione (di cui parla Cassese nel suo articolo citato in premessa). Questa è una riforma che non costa ed anzi può permettere ingenti risparmi al nostro paese.

Tutti i governi ne hanno proclamato la necessità e l’urgenza e tuttavia non è mai stata realizzata.

Cassese ne spiega le ragioni, la principale delle quali è che i benefici di questa riforma si realizzerebbero in tempi medio-lunghi mentre i politici hanno quasi sempre uno sguardo miope, attento ai risultati a breve termine.

Inoltre aggiungo che, al di là della volontà politica, i veri protagonisti e fautori della riforma dovrebbero essere i dirigenti a tutti i livelli dei ministeri e delle regioni, coloro cioè che conoscono a menadito la pubblica amministrazione e le sue regole spesso bizantine ed astruse, gli stessi che hanno il compito di scrivere materialmente il piano/programma degl’interventi.

La vicenda del Recovery Plan sarà insomma decisiva per giudicare sia la nostra classe politica che la nostra classe manageriale pubblica: se l’esito fosse ancora una volta negativo e deludente non resterebbe che sperare in un profondo (peraltro improbabile) ricambio.

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