I paradossi dell’epidemia

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 30 marzo, 2020

Il papa e mons.Zuppi

Il male oggettivo rappresentato dall’epidemia di coronavirus si accompagna ad alcuni effetti secondari positivi come la riduzione delle emissioni inquinanti da traffico, la diminuzione degl’incidenti stradali e sul lavoro e dei reati comuni. Altri aspetti contraddittori riguardano il fatto che, ad esempio, la dimensione ecclesiale locale (tipicamente la parrocchia) è passata (almeno temporaneamente) in secondo piano rispetto alla dimensione diocesana ed universale (non avevamo mai visto ed ascoltato tante volte, sia pure per tv o via web, il nostro vescovo ed il papa).

Così la globalizzazione, che è certamente una delle cause della veloce trasmissione del virus, ci ha messo comunque a disposizione potenti strumenti di comunicazione virtuale (social, teleconferenze, videochiamate ecc.) che ci consentono almeno di parlarci, ascoltarci e vederci.
Ed è ancora più paradossale, pensavo, che è attraverso strumenti moderni come il web, You Tube ecc. che stiamo riscoprendo pratiche liturgiche antiche e tradizionali come il Rosario serale e le litanie con il vescovo o l’ Ora di adorazione con il papa: è stato emozionante venerdì scorso rivivere a distanza di tanti anni un’esperienza vissuta un sacco di volte da bambino nella chiesa di S.Giovanni in Monte, con il Tantum Ergo cantato in “latinorum” senza capirci niente…….
Quante volte nel corso delle tante Quaresime vissute fino ad ora ci è stato ricordato il deserto, come il luogo del sacrifico, della rinuncia, della privazione volontaria di ciò che è superfluo e non essenziale. In questa Quaresima la condizione di deserto la stiamo vivendo in modo obbligato ed in questa situazione possiamo comprendere ciò che è davvero essenziale e ciò che non lo è per la nostra vita. Ciascuno questo discernimento lo deve esercitare personalmente.
Solo per fare un esempio, il digiuno eucaristico è pesante non solo e non tanto in termini di una comunione spirituale e di un legame con il Signore che posso stabilire interiormente anche a prescindere dalla partecipazione fisica al rito ed alla liturgia. Quello che mi manca è soprattutto il non poter partecipare alla Messa insieme alla comunità parrocchiale a cui sono fedele da quasi cinquantadue anni, il non poter vedere i volti dei fratelli e delle sorelle nella fede, l’accorgermi che manca G. o L. e l’interessarmi per sapere se hanno bisogno di qualcosa. Una Messa insomma che non è una “pratica religiosa” ma che diventa segno ed occasione per farci prossimi gli uni agli altri, del dono gratuito e della condivisione del pane terreno oltre che di quello eucaristico.
Questa epidemia insomma è certamente un male immenso dal quale speriamo di essere liberati al più presto, ma è anche l’occasione perchè si manifestino “le opere di Dio”, cioè tutti gli eventi ed i comportamenti che nascono dallo Spirito d’Amore.

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