Rispetto della legalità o pratica dell’accoglienza ?

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 29 maggio, 2015

occupazioni

Un' occupazione

Il tema è all’ordine del giorno ormai da molti anni ma è tornato di scottante attualità nei giorni scorsi in occasione dell’occupazione abusiva di diversi edifici di proprietà pubblica o privata, da parte di famiglie in stato di bisogno indirizzate e sostenute dagli attivisti di alcuni centri sociali.

Si è così manifestata una netta divisione tra chi è per il rispetto della legalità “senza se e senza ma” e, conseguentemente, ritiene che si debba intervenire con rapidità, sgomberando gli occupanti (escludendoli come punizione, da future graduatorie per le case popolari) e ripristinando la legalità e chi, sensibile al bisogno espresso dagli occupanti, ritiene che si debba soprassedere in attesa di trovare per essi una soluzione abitativa, garantendo, per ragioni umanitarie, la fornitura di acqua ed energia elettrica.

Io penso che entrambi i corni del problema esprimano valori irrinunciabili e che non si possa considerarli alternativi l’uno all’altro: è compito della politica, della buona politica, di trovare una soluzione tale da contemperarli entrambi.

Non sono tanto orgoglioso da pensare di avere in tasca la soluzione a problemi così gravi ed acuti. Tuttavia provo ad esprimere qualche considerazione.

Innanzitutto si deve prendere atto che il bisogno abitativo è assai cresciuto negli ultimi tempi per le ragioni ben note (crisi economica ed aumento delle povertà, incremento dei flussi migratori ecc.). Questo richiede necessariamente un aumento delle risorse (umane ed economiche) da mettere a disposizione delle politiche pubbliche della casa e del welfare ad esse collegato.

Ciò premesso, occorre valutare i due strumenti a disposizione delle politiche abitative pubbliche.

1) Patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP) assegnato da ACER sulla base delle graduatorie semestrali. Qui non ho molto da dire se non che:

  • occorrerebbe assegnare il maggior numero di alloggi possibili ogni anno, mettendo a disposizione le risorse necessarie alla ristrutturazione degli alloggi che si liberano e snellendo al massimo le procedure per l’assegnazione;

  • andrebbe usato il massimo rigore nella verifica periodica della sussistenza, da parte degli assegnatari, dei requisiti per abitare in una casa pubblica;

  • mi sembra interessante l’idea della “tessera a punti” per registrare le infrazioni alle regole di corretta convivenza fino ad arrivare all’espulsione (questo richiede un potenziamento delle risorse dedicate da ACER alla mediazione culturale ed ai controlli ispettivi);

  • l’ipotesi regionale di introdurre una‘anzianità di residenza di almeno tre anni come requisito per presentare domanda di ERP non mi trova contrario, ma è chiaro che a questo punto i Comuni dovrebbero rivedere i propri criteri per la formazione delle graduatorie, nel senso di limitare quel punteggio che molti assegnano per ogni anno di residenza o di presenza nelle graduatorie, per evitare che il giusto principio di premiare chi è da molto tempo in attesa di assegnazione non si traduca in un elemento che stravolgerebbe una graduatoria formulata in base a parametri che rappresentano il bisogno abitativo.

2) Esiste anche un altro canale per l’assegnazione di un alloggio a chi si trova in condizioni di particolare, urgente bisogno. E’ il cosiddetto canale della “emergenza abitativa” (EA). Qui mi rifaccio ai ricordi di quando ero in Consiglio comunale, scontando il rischio che le cose siano cambiate (ma il mio ragionamento non perderebbe di validità per questo).

Con l’EA venivano assegnati ogni mese un certo numero di alloggi pubblici (assai inferiore a quello assegnato in base alle graduatorie di ERP) a famiglie che si trovavano improvvisamente in condizioni di particolare, urgente bisogno abitativo. L’assegnazione veniva decisa da una commissione formata da assistenti sociali di territorio, sulla base di appositi criteri e non era definitiva ma temporanea, in attesa di una diversa soluzione.

Bene, io credo che questo, con le opportune modifiche ed adeguamenti che cercherò di proporre, sia lo strumento (potenziato) attraverso cui venire incontro alla situazione attuale e, in definitiva, cercare una sintesi, una “legalità accogliente” o, se preferite, un’ “accoglienza legale”.

Le regole in base a cui assegnare un alloggio in EA andrebbero ridefinite, per quanto riguarda sia il nuovo quadro di esigenze e di bisogni a cui si deve oggi fare fronte, sia il periodo massimo di assegnazione temporanea, che andrebbe rideterminato (scegliendo ad esempio i 3 anni, in modo da raccordarsi alla soglia di accettazione delle domande ERP). Nel frattempo gli assegnatari, seguiti attraverso un percorso di accompagnamento da parte dei servizi sociali, dovrebbero appunto transitare nell’ERP (se utilmente collocati in graduatoria) o trovare una diversa soluzione anche sul mercato privato, e liberare comunque l’alloggio di EA.

Gli elementi necessari affinchè l’EA risulti efficace mi sembrano due e si riferiscono alla premessa.

Occorre poter disporre di un servizio sociale efficace ed efficiente, in grado di valutare tempestivamente il bisogno di un considerevole numero di soggetti/famiglie (quelle degli occupanti abusivi) e di definire per essi un possibile percorso di riposta al bisogno stesso.

E occorre un patrimonio di alloggi maggiore di quello attualmente a disposizione: qui si comprende l’importanza di poter contare sui tanti locali sfitti ed inutilizzati, di proprietà di enti pubblici o di privati, sulla base di un protocollo con Comune e Prefettura attraverso il quale poter garantire oltre ad un canone ridotto ed alle spese condominiali (a carico del Comune o dell’assegnatario in base alle sue disponibilità economiche), di poter tornare in possesso dei locali una volta trascorso un certo lasso di tempo: questo dovrebbe essere realisticamente possibile se si realizzasse una certa mobilità nel patrimonio destinato all’EA.

Se si realizzasse una situazione come quella sommariamente descritta, si potrebbe procedere allo sgombero delle occupazioni abusive non appena il servizio sociale avesse analizzato la situazione di bisogno degli occupanti, avviando una parte (quella che rientra nei parametri definiti) all’EA, evitando il consolidamento delle occupazioni stesse.

Come detto il presupposto di questa strategia è che in particolare gli enti pubblici rendano disponibili i locali di loro proprietà sfitti e vuoti in alcuni casi da molti anni. Non credo, come ha detto il Prefetto, che esistano i presupposti di legge per procede a requisizioni. Si deve allora sperare nella “moral suasion”. Da questo punto di vista, se la diocesi di Bologna facesse la sua parte, come ha lasciato sperare la dichiarazione di mons. Silvagni, ciò rappresenterebbe certamente un buon esempio in questa direzione.

Commenti dei lettori

Anche questa volta sono d’accordo. Apprezzo in particolare la preferenza per la relazione AND, che richiede sicuramente più impegno nell’ascolto verso una soluzione positiva, rispetto alla relazione OR che semplifica dannosamente una situazione complessa e crea conflitto dove, invece, c’è possibilità di mediazione.

#1 
Scritto da Umberto Tadolini il 30 maggio, 2015 @ 01:27

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