Non si aiutano le famiglie con le diffide
La diffida inviata al sindaco di Bologna dal presidente provinciale delle ACLI in merito alle modalità di ricostituzione, a inizio mandato, della Consulta comunale delle associazioni famigliari, sta provocando ed alimentando proprio quella “guerra ideologica ormai logora e anacronistica”, quello “scontro” e quella “divisione di nessuna utilità alle politche sulla famiglia” che si sosteneva di voler evitare.
Viene infatti strumentalizzata la scarsa chiarezza del Regolamento generale delle Consulte (approvato nel 2009 dal Consiglio comunale) su chi debba decidere riguardo all’ammissione alla Consulta al momento della sua ricostituzione, ad inizio del mandato amministrativo e si sostiene con qualche acrobazia interpretativa, che l’art. 1 dello Statuto della Consulta (approvato nel 2002) autorizzarebbe a far parte della Consulta solo le associazioni che hanno per fine la promozione della famiglia fondata sul matrimonio, come intesa dalla nostra Costituzione.
Il vero scopo della diffida è in realtà quello di precludere l’ammissione alla Consulta di due associazioni che hanno chiesto di farne parte, vale a dire Agedo e Famiglie Arcobaleno, che si richiamano al mondo gay.
Scegliere lo strumento regolamentare (o, meglio ancora, una sua interpretazione) per raggiungere questo risultato non mi pare degno di particolare apprezzamento. Inoltre potrebbe portare ad esiti imprevedibili. Infatti sono certo che non tutte le 18 associazioni che facevano parte della Consulta nei precedenti mandati avessero per fine “la promozione della famiglia fondata sul matrimonio, come intesa dalla nostra Costituzione”. Ne facevano parte, inoltre, l’ MCL provinciale ed anche un circolo MCL. La stessa ACLI (Associazione Cattolica Lavoratori Italiani) ne fa parte benchè i propri fini statutari non siano precipuamente (ma solo indirettamente) quelli delle politiche famigliari (come potrebbe essere per qualunque sindacato di lavoratori).
Dico questo non per creare ulteriori motivi di conflitto ma per dimostrare che non può essere questa la strada per “promuovere la coesione sociale e la solidarietà fra le famiglie, attraverso la costruzione di relazioni organiche con le Associazioni che le rappresentano”, come recita l’art.1 dello Statuto della Consulta.
Personalmente mi riconosco in pieno nel concetto di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, ma non posso ignorare che le trasformazioni socioculturali e di costume hanno dato luogo, col passare degli anni, ad una pluralità di forme di convivenza di tipo familiare a cui pure fanno in larga misura riferimento i bandi o i regolamenti comunali per l’erogazione di servizi e provvidenze. Lo stesso Censimento in corso, volendo scattare una fotografia il più possibile vicina ai fatti definisce la famiglia come l’insieme delle “persone che hanno dimora abituale nell’alloggio”.
Ciò non significa negare il valore dell’art.29 della Costituzione né riconoscere di per sé i medesimi diritti a tutte le forme di convivenza. E’ compito delle istituzioni ai diversi livelli, secondo le rispettive competenze, riconoscerli e dosarli, in relazione non solo ai rispettivi bisogni ma anche ad un apprezzamento degli impegni e delle responsabilità che ciascuna di esse assume pubblicamente.
Inoltre il far parte della Consulta non implica automaticamente un riconoscimento di diritti od una legittimazione ulteriore rispetto a quella già derivante (come detto) dalle norme esistenti. Non è nemmeno in causa, evidentemente, il riconoscimento del matrimonio tra coppie gay. Per decidere in merito alla richiesta di adesione si tratta unicamente di verificare, con un esame oggettivo e non viziato da pregiudizi ideologici dello statuto dell’associazione richiedente, se ci sia “coerenza con l’ambito tematico su cui la Consulta è costituita” (art.5 del Regolamento generale delle Consulte comunali).
Peraltro non è compito principale di questo organismo quello di sviluppare un confronto di carattere teorico e ideale tra i diversi modelli di famiglia che la società ci propone, ma (come recita lo Statuto della Consulta) di svolgere “funzioni d’impulso e sostegno alla realizzazione, da parte del Comune di Bologna, di politiche familiari rispettose del principio di sussidiarietà e dei diritti della famiglia, con attività consultive, propositive e di attivo concorso all’esercizio delle funzioni comunali per quanto riguarda le politiche sociali rivolte alle famiglie”. Proprio il carattere di “Consulta” su pratiche concrete dovrebbe suggerire un approccio inclusivo, per favorire un confronto non ideologico su impegni e responsabilità, permettendo a ciascuno di esprimere con libertà le proprie convinzioni, argomentandole e motivandole nello spazio pubblico.
Commenti dei lettori
Caro Paolo, mi sembra che la tua valutazione sia come sempre perfettamente centrata ed equilibrata.
Ti ringrazio, caro Nando.