La trasformazione delle Province, ovvero il rullo compressore all’opera.

Questo post è stato scritto da Paolo Natali il 4 aprile, 2014

L’approvazione definitiva del ddl Del Rio, definito sbrigativamente “elimina Province”, ma che in realtà le ha trasformate ineliminaprovinceprofondità, soprattutto dal punto di vista della classe politico-amministrativa chiamata a dirigerle, mi offre l’occasione per una riflessione sui contenuti e le modalità dell’azione di governo portata avanti da Matteo Renzi in queste settimane e sulle motivazioni che la ispirano.

Renzi è andato al governo (ha fortemente voluto la bicicletta su cui sta pedalando velocemente, sia pure in equilibrio ancora precario) in un contesto che può essere così sommariamente descritto.

Una forte crisi economica, segnata da alti tassi di disoccupazione (soprattutto giovanile), da gravi difficoltà delle famiglie e delle imprese. Una crisi intrecciata ed esasperata nella sua percezione da parte di chi ne patisce le conseguenze, dalla crescente ostilità e distacco nei confronti della classe politica, giudicata incapace di dare risposta ai problemi del paese, impegnata soprattutto nella difesa dei suoi numerosi privilegi e sovente colta con le mani nel sacco nell’uso a fini personali dei fondi pubblici. Un altro aspetto che contribuisce ad aggravare la situazione è lo stato della pubblica amministrazione, caratterizzato da alte remunerazioni e pensioni d’oro degli alti dirigenti ed inaccettabili complicazioni e lentezze burocratiche.

Intervenire in questa situazione grave e complessa è reso ancora più difficile da una maggioranza parlamentare precaria (soprattutto al Senato) e scarsamente omogenea dal punto di vista politico.

Le ormai vicine elezioni europee, in questo quadro allarmante, ed in presenza di un diffuso sentimento antieuropeo, potrebbero segnare il trionfo di partiti e movimenti che fanno del “tanto peggio, tanto meglio”, la loro bandiera.

L’unica strada che Renzi aveva di fronte era quella d’imprimere al paese, nei primi 100 giorni del suo governo, un visibile e significativo cambiamento di rotta. A questo scopo Renzi non può usare il fioretto ma il rullo compressore, anche a scapito dell’ organicità e della perfezione dei suoi provvedimenti, che potranno magari essere rivisti e corretti in tempi successivi ed in condizioni politiche più favorevoli. D’altro canto chi ha avuto nel passato il tempo e la possibilità di “cambiare verso” non è stato capace di farlo ed ha contribuito a creare la difficile situazione attuale.

Vorrei ricordare brevemente gli atti ed i provvedimenti che Renzi si è impegnato a realizzare entro giugno, quando l’Italia assumerà per un semestre la guida dell’Europa, legando a questi adempimenti il suo destino politico (ed anche questa assunzione, così esplicita, di responsabilità è di per sé un’elemento di novità nel panorama dei leaders politici italiani).

  • Trasformazione delle Province.
  • Approvazione in almeno uno dei due rami del Parlamento di una nuova legge elettorale.
  • Approvazione in prima lettura almeno al Senato della riforma del Senato e del titolo V della Costituzione .
  • Riduzione della pressione fiscale sui redditi al di sotto dei 25.000 € annui con aumento di 80 € mensili in busta paga.
  • Riduzione del 10 % dell’IRAP e del 10% del costo dell’energia per le imprese.
  • Integrale pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese.
  • Decreti sul precariato e sull’apprendistato e legge delega sul lavoro (Jobs act).
  • Presentazione di proposte per la riforma del fisco, della pubblica amministrazione e della giustizia.

Questo è quanto, salvo possibili omissioni.

E’ evidente che Renzi ha molto enfatizzato, in tutti i provvedimenti da lui proposti, il carattere di riduzione dei costi e dei privilegi della politica (graduale eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti, gratuità della carica di senatore, gratuità degl’ incarichi di amministratore nelle nuove province e città metropolitane, limiti alle indennità dei consiglieri regionali e riduzione dei fondi di dotazione dei gruppi consigliari regionali, asta auto blu, limiti agli stipendi dei managers, eliminazione del CNEL…….). Così come è evidente che molti di tali provvedimenti hanno un carattere soprattutto simbolico ed esemplare più che di efficacia sostanziale. D’altra parte la ineccepibile motivazione che Renzi non si stanca di ripetere è che prima di chiedere sacrifici ai cittadini è necessario che siano i politici a dare il buon esempio.

Quello che preme a Renzi, in questa fase, mediante il suo attivismo ed l’enfasi di cui sopra, è soprattutto ristabilire una connessione sentimentale tra cittadini e politica, anche scontando qualche semplificazione, superficialità ed approssimazione politico-amministrativa .

E allora, per concludere, torniamo da dove siamo partiti, e cioè al provvedimento sulle Province.

Non si tratta certamente dell’auspicata riforma complessiva del sistema delle autonomie locali, per la quale, a partire da una revisione delle competenze stato/regioni (presente nella riforma del titolo V) e magari del numero e dei confini delle regioni stesse, occorrerebbe rivedere le funzioni dei diversi livelli di governo locale, semplificando ed evitando doppioni e conflitti di competenze. In quest’ottica si tratterebbe anche di verificare eventuali surplus/carenze di personale (ma si è mai visto un dirigente, lo dico per esperienza diretta, ammettere che dispone di più collaboratori di quanto sarebbero necessari ?) favorendo una mobilità dei lavoratori tra enti ed uffici pubblici ubicati nella stessa località.

Ma per fare questo occorrono tempo e, soprattutto, condizioni politiche che oggi mancano.

E allora, di fronte alla ricerca di un capro espiatorio dei difetti e dei limiti della nostra pubblica amministrazione, le Province ne fanno le spese, in quanto anello debole della filiera istituzionale. Peraltro è dagli anni ‘70, dopo la nascita delle Regioni, che, a partire da Ugo La Malfa, si è reiterato il tormentone dell’abolizione delle Province.

Anche il fatto che l’incarico di amministratore delle Città Metropolitane e dei nuovi enti di area vasta (ma come si chiameranno le province normali ?) venga svolto gratuitamente, risponde un po’ rozzamente alla domanda di riduzione del numero dei politici e dei costi della politica proveniente dal paese, scandalizzato di fronte ad emolumenti principeschi che peraltro non erano certo quelli degli amministratori della Provincia. Immagino che in futuro questa semplificazione verrà corretta (anche per i futuri componenti del Senato delle autonomie) attraverso quanto meno il riconoscimento di un rimborso spese.

Sono inoltre personalmente convinto che il carattere sovraordinato (e non di semplice coordinamento intercomunale) delle Città Metropolitane, raccomandi per tali enti, amministratori scelti tramite elezione diretta, come peraltro la legge già prevede attraverso una procedura complessa, che richiede la necessaria maturazione politica.

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